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Danilo Udovicki-SelbWritten by: Città e Territorio

Per la F1 un circuito d’autore

Per la F1 un circuito d’autore

Austin (Texas). Può un progetto poetico essere associato al rombo assordante del mondo multimiliardario delle corse automobilistiche? Sembrerebbe difficile, ma è esattamente ciò che il giovane studio di Austin, Miró Rivera Architects, in collaborazione con lo strutturista Walter P. Moro e i designer illuminotecnici newyorkesi Design ArcLight, è riuscito a fare per il primo circuito di Formula 1 degli Stati Uniti costruito nella capitale texana. Non sorprende che questo studio, fondato nel 1997, abbia già acquisito notorietà fuori da Austin, con una serie di riconoscimenti internazionali per la sua architettura elegante e originale.
Contro ogni previsione, in piena crisi economica e tra non poche polemiche, a cui si sono aggiunte cause legali, accuse di corruzione e ripetuti abbandoni del progetto, le architetture di Juan Miró e Miguel Rivera sono serenamente cresciute, in un tempo record di 30 mesi, come una fenice ardente che ha ricevuto elogi unanimi. In tandem con un intraprendente investitore, Bobby Epstein, il team ha reinventato il significato dell’operazione di Formula 1, costruendo un fantasioso quanto flessibile sistema d’impianti espandibili sviluppato su 245 ettari, con un anello di 5,4 km e comprendente il Grand Stand (la tribuna principale da 9.000 posti a sedere), la Grand Plaza (una corte d’onore di 11 ettari con anfiteatro da 15.000 persone) e, al centro di tutto, una dinamica ed elegante torre osservatorio di 80 m, che si sarebbe tentati di chiamare il Grand Phoenix (ndt. la grande fenice).
Come le performanti vetture di F1, dove ogni elemento meccanico è ridotto al minimo strettamente funzionale, la struttura della tribuna principale è composta da telai modulari in acciaio. «Tale flessibilità», dicono gli architetti, «consentirà al Circuit of America di crescere nel tempo, pur mantenendo un’impostazione estetica coesa».
La tribuna combina impianti e strutture a vista, che ricordano il Pompidou di Piano e Rogers, con gigantesche pensiline tubolari a sbalzo, che strizzano l’occhio invece a Calatrava. Le pensiline di copertura in tensostruttura contraddistinguono l’intervento e presentano alcune variazioni che ne mantengono tuttavia l’unitarietà.
Nel cuore del circuito, la Grand Plaza distribuita su oltre 10 ettari e delimitata dalle piste su tre lati è invece il punto d’incontro di tutto il complesso. Al termine dell’asse principale della Plaza, che comprende anche un anfiteatro all’aperto, sorge la torre, landmark svettante in tutta la sua drammaticità. «Le torre funziona come un’ancora per tutta la composizione, diventando allo stesso tempo un simbolo e creando un senso del luogo», racconta Miró. Interamente in acciaio, la torre è costituita da una gabbia di pilastri bianchi e da due rampe di scale che avvolgono il nucleo ascensori. Un velo formato da tubi rossi di 20 cm di diametro scorre giù dal ponte di osservazione, per poi aprirsi a ventaglio alla base formando la copertura sopra il palco dell’anfiteatro. Come le pensiline bianche, i tubi rossi reinterpretati in una varietà di accordi sono un elemento ricorrente di tutto il complesso: collegano la torre all’anfiteatro, formano una cornice monumentale all’ingresso della tribuna principale o spuntano da terra come un’onda rossa di fronte alla Grand Plaza, non senza ricordare le strisce della bandiera americana. «I tubi rossi fanno riferimento alle strisce rosse incandescenti che le luci di coda si lasciano dietro nel buio», dicono gli architetti. Di notte, illuminato dal viola al blu al verde, il nucleo della torre acquista un aspetto cristallino traslucido. Le scale a doppia spirale che avvolgono il nucleo mobile della torre, racchiuse da una gabbia in tensostruttura, non senza ricordare concettualmente la torre di Vladimir Tatlin, sono rafforzate dall’inclinazione apparente della struttura. Incorporando un senso di precisione, leggerezza ed elegante dinamismo associato alle auto da corsa, la torre acquista una dimensione iconica come l’energia congelata dal Circuito delle Americhe.
Essere scelta come sito per i prossimi dieci anni delle gare di F1 è la prova della crescente presenza di Austin sulla scena internazionale, balzata, da quando il progetto ha preso avvio, dal 17° al 13° posto come città più grande degli Stati Uniti. Nota per i suoi festival internazionali di musica e film come «South-by-South-West», o «Austin City Limits», Austin oggi accoglie un circuito che fungerà da palcoscenico anche per diversi altri appuntamenti, concerti ed eventi culturali, il che giustifica i 400 milioni di dollari investiti.
 
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Autore

  • Danilo Udovicki-Selb

    Laureato in Architettura e pianificazione all'Università di Belgrado, ha conseguito un master in Filosofia al Boston College e un dottorato in Storia, teoria e critica dell'architettura Massachusetts Institute of Technology. È docente associato presso la Austin School of Architecture dell'Università del Texas.Ha pubblicato molti contributi sugli anni 30 in Francia e Unione sovietica, in particolare sull'avanguardia architettonica russa, su Charlotte Perriand e Le Corbusier. La sua più recente pubblicazione ha riguardato la cura del volume “NARKOMIN: Moisej Ginzburg and Ignatij Milinis” (Ernst Wasmuth Verlag, Berlino). Attualmente, sta scrivendo un libro sulle avanguardie sovietiche nell'epoca staliniana. È corrispondente del Giornale dell’Architettura dal 2003.

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Last modified: 18 Luglio 2015